Questo articolo è il terzo di una serie di post pubblicati da Gauthier Roussilhe e che prendono in esame diversi aspetti legati al tema della sostenibilità digitale.
Questo il corretto ordine di lettura:
- Paradossi e sfide ambientali della digitalizzazione
- I limiti del dibattito sulla digitalizzazione
- Sostenibilità digitale, la nebbia che verrà
- Territorializzare i sistemi digitali, l’esempio dei Data Center
Sostenibilità digitale, la nebbia che verrà
Gauthier Roussilhe, 20 agosto 2021
La cosiddetta “Sostenibilità Digitale“, ovvero l’idea della progettazione di servizi digitali efficaci e allo stesso tempo pensati per ridurre il loro impatto ambientale ha iniziato a diffondersi sempre di più negli ultimi due anni.
In Francia, la crescita di questo settore sta accelerando rapidamente e ogni giorno si affacciano nuovi attori sulla scena.
Questa accelerazione è legata ai progressi normativi e sociali degli ultimi due anni rispetto a questa materia. Vengono destinati nuovi fondi e aiuti pubblici e in questa direzione si evolvono e si strutturano anche le offerte. In breve, la Sostenibilità Digitale sta approcciando una nuova fase di maturità; gli attori del settore che già da tempo se ne occupano si mettono sulla difensiva per proteggere la loro “quota di mercato” dalle nuove realtà “dalle spalle più larghe” (aziende digitali, agenzie di consulenza, ecc.).
Quello che ieri era soprattutto un campo di ricerca sta diventando un mercato più o meno importante e stiamo assistendo, secondo me, a una fase di “protezione delle conoscenze”, alimentata dalla paura di vedere le proprie attività fagocitate. Questo timore è legittimo nel senso che le organizzazioni e le realtà interessate (pubblica amministrazione, enti locali, aziende, ecc.) non hanno le basi necessarie per determinare se un fornitore sia realmente competente o meno.
Guidato da uno spirito opposto rispetto a quanto accade e che sto osservando oggi, desidero condividere la mia metodologia e, allo stesso tempo, fare una valutazione critica e dare qualche consiglio su come scegliere meglio un fornitore di servizi.
In questo articolo parleremo:
- Di cosa disponiamo?
- Mercati e metodologie
- Ottimizzare un servizio è effettivamente Sostenibilità Digitale?
- La Sostenibilità Digitale non è una soluzione miracolosa
- L’esistenza di un gap formativo
- Consigli per gli anni a venire
Di cosa disponiamo?
In Francia, chiunque inizi ad interessarsi al tema della Sostenibilità Digitale, si imbatte immediatamente in alcuni documenti diffusi come le “115 buone pratiche di GreenIT e Frédéric Bordage, o il quadro di riferimento delle buone pratiche dell'”Institut du Numérique Responsable ” (INR), oppure per suggerire dei riferimenti più recenti, nella guida dell’associazione “Designers Éthiques”.
Il primo di questi documenti è decisamente orientato alle pratiche di programmazione, il secondo e il terzo includono altri campi come il design per UX, la strategia, ecc. Tuttavia, prima di esaminarli è importante comprendere il quadro dell’eco-design. Questo è normalizzato dallo standard ISO come 14062:2002 (IEC 62430:2019 ora), ma questo standard è valido in generale per l’eco-design e non è specifico per il digitale. Questo per sottolineare il fatto che la progettazione di un servizio digitale può essere analizzata da un punto di vista ambientale come la realizzazione di qualsiasi altro servizio.
Questa affermazione è parzialmente vera ma pone anche reali limiti all’applicazione pratica come vedremo.
Mercati e metodologie
Negli ultimi quattro anni, ho letto molto della letteratura esistente riguardo questi temi e ho per lo più gestito progetti digitali sostenibili in “condizioni di vita reale” affiancando diversi tipi di clienti. Da questi anni di lavoro e studio deriva la mia metodologia “tailor made” che corrisponde alla mia conoscenza e visione delle cose. Questa metodologia mira a gettare le basi delle mie pratiche di sostenibilità digitale e ad evidenziare i punti cruciali per possibili compromessi durante tutto il percorso di progettazione.
Come primo passo, ho selezionato 3 condizioni (o punti di partenza), che non sono né eccezionali né nuovi:
- L’impatto ambientale del servizio, digitale e non, deve essere ridotto;
- Le esigenze espresse dagli utenti devono essere sempre soddisfatte con pertinenza;
- Si deve presumere che la digitalizzazione non sia necessariamente l’opzione migliore per affrontare al meglio i primi due punti.
Vorrei insistere sul terzo punto di questo elenco e formulare così il mio primo consiglio: se la persona che si occupa della Sostenibilità Digitale non mette sinceramente e spesso in discussione la digitalizzazione del tuo servizio, o la digitalizzazione di alcune sue funzioni allora c’è un forte possibilità che non abbia compreso appieno l’obiettivo della sostenibilità digitale.
Non sto dicendo che questo tipo di analisi sia facile, io stesso non sono riuscito ad approfondire sufficientemente questo problema riguardo un grande progetto a cui sto lavorando, ma ciò non mi impedisce di interrogare regolarmente il team di progettazione su questa consapevolezza. Alla fine de grazie a questa pratica ogni professionista sarà maggiormente attrezzato per affrontare questo interrogativo fondamentale.
In una seconda fase, quando le condizioni sono soddisfatte, stabilisco sette pilastri che guideranno il processo di digitalizzazione:
- La progettazione del servizio deve favorire la durata nel tempo delle apparecchiature;
- Il servizio dovrebbe ridurre il consumo di risorse (sia ambientali che informatiche) in termini assoluti;
- Il servizio dovrebbe supportare la propria durata di vita soddisfacendo le esigenze rilevanti a medio e lungo termine e facilitando la manutenzione e l’evoluzione;
- Il servizio deve essere ottimizzato per le condizioni di accesso più difficili (vecchie apparecchiature o con potenza di calcolo limitata, scarso accesso alla rete, dati a pagamento);
- La sostenibilità digitale è solo una parte di un circolo virtuoso che include accessibilità, privacy, open data, software libero, ecc;
- L’accesso alla documentazione del lavoro svolto dovrebbe essere la norma, non l’eccezione;
- Il lavoro svolto deve essere misurato e deve far parte di una strategia ambientale preesistente.
Tutti questi punti si intrecciano l’uno con l’altro e devono essere considerati come un unico insieme per poter lavorare coerentemente a ogni progetto.
Allo stesso modo, dietro ognuno di questi pilastri che ho elencato ci sono molte buone pratiche, indicatori, metodi di trade-off che non posso spiegare qui per mancanza di tempo.
Ancora una volta, mi affiderò a uno dei pilastri, il quinto, per fornire un secondo consiglio: la Sostenibilità Digitale può essere vista come uno strato aggiuntivo rispetto a una specifica sempre più complessa. Rispetto a questa affermazione per me è vero il contrario: quello della sostenibilità è un pretesto in più per condividere lo sforzo e realizzare un ambiente digitale di alta qualità all’interno di un unico progetto (accessibilità, open source, sicurezza, ecc.).
Non realizzo progetti di sostenibilità digitale senza introdurre l’accessibilità al web o senza cercare di eliminare il più possibile i servizi GAFAM dal progetto. Se il tuo fornitore di servizi non si oppone su questo punto, allora non ti sta facendo alcun favore. Ad esempio, proporre un AWS (Amazon Web Services o altri servizi cloud di Google o Microsoft) come parte di una mission di sostenibilità digitale è un controsenso, salvo che per esigenze eccezionali. Aggiungere un livello che complicherà le questioni di GDPR e sovranità con il pretesto che Amazon annuncerebbe data center “verdi” è un errore strategico. Ogni parte del lavoro deve essere virtuoso altrimenti nulla servirà a nulla.
Questa è una breve panoramica della mia metodologia personale, non è fissa e continuerà ad evolversi (appariranno nuovi pilastri). Non consiglierei di usarla perché l’ho adattata specificamente alle mie conoscenze e alla mia visione di questa tematica.
In ogni caso, questa premessa ha permesso di mettere in evidenza due consigli che mi sembrano fondamentali nella scelta di un fornitore di servizi e nella comprensione del supporto qualitativo.
Ottimizzare un servizio è effettivamente Sostenibilità Digitale?
Quando lavoro su un progetto, utilizzo la metodologia presentata qui sopra per fare lo scoping. Inoltre, utilizzo vari indicatori tecnici per monitorare l’evoluzione del prodotto.
Può sembrare un controsenso ma non integro nel progetto indicatori ambientali (gCO2e, di acqua o altro) perché sono ordini di grandezza approssimativi ricavati da indicatori tecnici che integro nel monitoraggio. Gli indicatori ambientali sono, a mio avviso, utili per la comunicazione a posteriori ma non sono rilevanti nella gestione di un progetto.
Se si seguono bene i pilastri che ho presentato più sopra e gli indicatori forniti si arriva ad un servizio digitale molto snello e ottimizzato.
Ad esempio, di recente ho aiutato a ridisegnare il sito web di Commown con Timothée Goguely e Derek Salmon. Con la nuova versione abbiamo diviso il peso medio della pagina per 22, il numero di richieste per 4, ridotto il tempo First Contentful Paint (FCP) di 5 e il Time to Interactive (T2I) di 11.
Questo è un bene, ma la Sostenibilità Digitale riguarda davvero questo tipo di lavoro? Se eliminiamo la fase di analisi e approfondimento dei nostri dubbi su ciò che digitalizziamo o meno, allora avremo solo eseguito una buona ottimizzazione.
In effetti, il confronto Prima/Dopo non mostra l’approccio alla Sostenibilità Digitale, è più simile a una foto al traguardo che a un video della gara. Abbiamo lavorato con Commown a monte per rimuovere almeno la metà dei contenuti preesistenti, abbiamo messo in discussione sistematicamente i bisogni espressi e la necessità di digitalizzare per soddisfarli. Questo processo è stato tanto più piacevole in quanto Commown ha voluto conformarsi alle RGAA (Linee guida francesi per l’accessibilità del web) e eliminare il più possibile i servizi GAFAM.
Il progetto ha avuto successo; alla fine, i servizi digitali che ho aiutato a progettare hanno punteggi quasi massimi sui popolari strumenti per le prestazioni web. Quindi la Sostenibilità Digitale riguarda solo l’ottimizzazione di un servizio?
La maggior parte del business del web consiste nell’ottimizzare cose che a volte sono pesanti, tentacolari, e il processo di ottimizzazione stesso può portare a una certa voracità delle risorse informatiche.
Se ci ispiriamo al principio di Pareto, la Sostenibilità Digitale consiste nell’utilizzare solo il 20% delle risorse date, per soddisfare l’80% dei bisogni espressi dagli utenti. È qui che si esprime l’idea di sobrietà digitale. Questa idea riguarda sia la progettazione del servizio, sia i dispositivi che i flussi di materiali necessari al suo funzionamento. Meno il servizio richiederà risorse esterne (dipendenze e librerie esterne, terze parti, ecc.) e risorse di calcolo (potenza CPU/RAM, throughput di rete), tanto più resiliente sarà il servizio stesso in caso di riduzione dei flussi (saturazione o rete ristretta) o in caso di eventi eccezionali (calamità naturali, tagli cavi, guasto server, ecc.).
Allo stesso modo, gli approcci alla Sostenibilità e alla Sobrietà Digitale mirano a ridurre la dipendenza dai servizi monopolistici che in seguito avranno completa libertà sulla loro politica dei prezzi e sull’accesso ai loro servizi.
Va quindi ricordato che la Sostenibilità Digitale deve essere puntellata su una serie di principi da cui far derivare poi gli indicatori. Indicatori privi dei suddetti principi non garantiscono in alcun modo la qualità di un approccio di effettiva Sostenibilità Digitale. Inoltre, tutto questo da solo non basta, va accompagnato da una serie di domande su accessibilità, sovranità digitale, privacy, sicurezza, ecc.
Infine ecco un ultimo punto che mi sembra particolarmente importante sottolineare: progettare un servizio digitale sostenibile significa anche mettere in discussione la politica di acquisto delle apparecchiature informatiche della realtà in cui stiamo lavorando. Probabilmente è più importante convincere una grande azienda a prolungare la vita delle sue apparecchiature digitali che progettare un servizio sostenibile (a meno che non si tratti di un servizio pubblico essenziale o di un servizio con un pubblico molto vasto). Idealmente, andrebbero fatte entrambe le cose, ma queste attività di solito esulano dallo scopo di un’agenzia web.
La Sostenibilità Digitale non è una soluzione miracolosa
La Sostenibilità Digitale contiene in sé tutti gli elementi per realizzare pratiche di greenwashing: scarsa conoscenza della materia da parte dei clienti, basso livello di competenze dei fornitori di servizi, pressioni per attuare azioni o per allinearsi alle offerte esistenti (vedi il nuovo posizionamento dei GAFAM sul tema). Inoltre, tra la scelta del progettare un servizio digitale sostenibile e comunicarlo oppure l’attuare una vera e propria strategia ambientale e ripensare radicalmente il proprio modello di business, la prima opzione è molto più semplice.
Il fatto che Volkswagen Canada stia comunicando la creazione di un sito web green che promuove i SUV elettrici (1Mb per una pagina inclusi 700Kb di JS) è, da un lato, il colpo di partenza di questo ciclo di greenwashing e, dall’altro, un picco di cinismo perché questo sito non è in alcun modo progettato in modo sostenibile né ottimizzato (allo stesso modo in cui i SUV elettrici non sono la risposta alla transizione energetica ed ecologica). Questa non è una critica a Wholegrain Digital poiché so che non sono stati coinvolti direttamente nella progettazione e nello sviluppo di questo sito Web, tuttavia questo è un progetto che ritengo problematico.
In questo contesto, mi sembra che la Sostenibilità Digitale non potrà che diventare una leva per le politiche di greenwashing.
Ho visto varie campagne che miravano a spingere le grandi aziende a progettare in modo sostenibile i propri siti Web (in una definizione più ampia, ciò corrisponde a ridurre il consumo energetico del sito e le emissioni di carbonio). In risposta, sarebbe estremamente facile per Total e[IR1] co. progettare in modo sostenibile i propri servizi digitali, ma senza modificare affatto le proprie operazioni. Questo processo consentirebbe loro persino di migliorare le comunicazioni aziendali a un costo contenuto, poiché i siti Web sono ora il principale punto di accesso di un’azienda.
Pertanto, non sostengo il principio secondo cui le grandi aziende – che cambiano le loro azioni solo al margine – dovrebbero essere attivamente propositive per cambiare i loro servizi digitali in modo sostenibile.
Per me è chiaro che la Sostenibilità Digitale ha senso solo se portata avanti all’interno di una strategia ambientale aziendale ambiziosa, e coerente e con la volontà di applicarla internamente (a partire dal top management fino ai dipendenti). Ho lavorato per aziende che sono già allineate nella loro politica ambientale e, in tal caso, la Sostenibilità e la Sobrietà Digitale seguono proprio questa linea di pensiero.
Nella mia esperienza manca la forza per guidare una effettiva strategia ambientale (per molte ragioni che non posso spiegare qui). Per verificare la strategia di un’azienda che mi contatta, considero sicuramente i report CSR ma osservo soprattutto dove sono rivolti gli investimenti dell’azienda perché è un modo molto più efficiente per scorgere la vera strategia esistente oltre la patina di comunicazione. In fondo, la Sostenibilità Digitale non impegna un’azienda a cambiare le sue attività, per questo preferisco rifiutarmi di lavorare con il settore dei combustibili fossili o dell’industria alimentare, e concentrarmi su aziende con una strategia sincera e consolidata e sulla pubblica amministrazione.
L’esistenza di un gap formativo
Uno dei problemi che dovremo affrontare rapidamente è la mancanza di formazione sull’argomento: sono abbastanza sicuro che un Master in Scienze Ambientali del Settore Digitale avrebbe molto successo.
Tuttavia, per essere rilevanti è necessario essere anche multidisciplinari: sono richiesti una buona conoscenza delle scienze ambientali (LCA, MFA, ecc), dell’infrastruttura hardware del settore digitale e una buona conoscenza generale dello sviluppo software, del web e della progettazione digitale. Questo tipo di formazione richiede una buona dose di elasticità mentale, tale da permettere di seguire un progetto a livello macro, meso e micro. Dato che personalmente non copro tutte le conoscenze richieste molto spesso lavoro insieme ad altri colleghi per avere un approccio più completo.
In Francia, le persone che si occupano di Sostenibilità Digitale sono state generalmente formate attraverso corsi brevi presso GreenIT, INR (tramite MOOC), Ecoinfo o DDemain. Tuttavia, tre giorni non sono sufficienti per comprendere in toto questo argomento così delicato. Dal lato del cliente inoltre, sono pochissime le persone che sanno scrivere specifiche rilevanti o che semplicemente sanno cosa chiedere perché l’argomento è vasto e complesso.
Senza strutturare la formazione dei futuri professionisti riguardo questa materia, l’indeterminatezza continuerà a regnare anche negli anni a venire.
Consigli per gli anni a venire
Oggi, la coppia chiamata Sostenibilità Digitale e Sobrietà Digitale sta approcciando una fase legata al greenwashing, almeno dal mio punto di vista.
Questo non significa che non ci saranno più persone competenti a lavorare per la Sostenibilità Digitale, ma semplicemente che saranno decisamente oscurate da attori meno competenti e meno rilevanti ma che hanno i mezzi per essere visibili. Allo stesso modo, i professionisti competenti rifiuteranno, per etica, di lavorare con determinate aziende con molti mezzi finanziari ma poca voglia di cambiare le loro attività non sostenibili; ecco che allora verranno interpellati personaggi meno competenti ma che possono contare su una grande visibilità. Si tratta ovviamente di uno scenario dettato dalla dinamica del miglior offerente, ma rimane un problema importante.
Per fare il punto, una volta ho assistito per procura a una presentazione della società di consulenza internazionale Cybercom sulla “Digital Sustainability”, era semplicemente un loro powerpoint per vendere soluzioni cloud (AWS / Azure) ma con alcune diapositive sull’alimentazione delle energie rinnovabili di server. Vi lascio alla lettura di questa presentazione che implica che la nuvola porta le emissioni a 0.
Tutte le guide pratiche del mondo non hanno il potere di modificare l’appropriazione della materia da parte di realtà con poche capacità e convinzioni o semplicemente con una scarsa comprensione delle questioni. Quindi, nella nebbia che ci aspetta, come scegliamo con chi lavorare?
Mi sembra che il primo test di prova sia la capacità del consulente di mettere in discussione la rilevanza della digitalizzazione nell’ambito del progetto. Ciò consente di selezionare i fornitori di cloud mascherati, ma anche di selezionare le aziende che intraprendono questo percorso solo per le pubbliche relazioni. In secondo luogo, essere esigenti sulla definizione dei principi che guidano il nostro approccio, perché se gli indicatori vengono proposti senza un quadro ben compreso e vincolante allora lavoreremo a vuoto. Inoltre, se le altre parti virtuose di un ambiente digitale di alta qualità non sono integrate, parte dello sforzo è sprecato.
Infine, una persona non è sufficiente per portare il peso di una tale missione e la costituzione di un team è generalmente necessaria per coprire tutte le questioni (scienza ambientale, strategia, design, sviluppo, accessibilità, DevOps, ecc.). Quindi lavorare per la Sostenibilità Digitale apre potenzialmente la possibilità di collaborazione e trasmissione di conoscenza tra pari (sia addetti ai lavoro che non).
Insomma negli anni a venire dovremo lottare contro la nebbia – o confusione – che abbiamo intorno, continuando a condividere le nostre conoscenze e a trovare i giusti alleati per mettere in comune le energie necessarie per realizzare un ambiente digitale di alta qualità.
Articolo originale: Gauthier Roussilhe | Eco-conception, le brouillard à venir