René ti andrebbe di parlarci di come hai iniziato a lavorare alla sostenibilità digitale?
La mia è una formazione da programmatore anche se a un certo punto del mio percorso professionale ho iniziato a non amare questo lavoro, ho realizzato che non era adatto a me, così ho scelto di dedicarmi alla psicologia.
Al termine dei miei studi – parliamo dei primi anni ’90 – mi sono trovato di fronte all’arrivo di internet e l’ho accolto e subito immaginato come un modo per essere più environmentally friendly, ho scelto di lavorare da casa anche per questo. Notavo come permettesse di spostarsi di meno per lavoro o altre motivazioni, davo per scontato i benefici di questo tipo di processo di adattamento e ci è voluto un po’ prima che realizzassi che il mondo di internet stava crescendo davvero rapidamente e che molti suoi aspetti andavano considerati con attenzione.
Così quando nel 2005 è arrivato in Olanda il primo data center green mi sono approcciato per la prima volta alla sostenibilità digitale già molto interessato alla tematica, notando come la quasi totalità del funzionamento di internet fosse basata su energia non rinnovabile: è nata così Cleanbits, un servizio che permetteva di verificare se il proprio dominio avesse un host green oppure no.
Parte del nostro lavoro era anche l’offerta di domini green in modo da contribuire a mitigare l’impatto ambientale del digitale, anche se devo ammettere che come compagnia eravamo molto più interessati a costruire un ottimo data base utile al lavoro dedicato alla sostenibilità digitale piuttosto che all’aspetto commerciale vero e proprio.
Dopo qualche anno di lavoro con Cleanbits ci siamo resi conto della necessità di concentrarci principalmente sui data base perché abbiamo notato come raggiungendo con il nostro servizio ogni parte del mondo fosse necessaria un’organizzazione più funzionale, così Cleanbits è diventata una fondazione – The Green Web Foundation – cosa che ci ha permesso di incrementare tantissimo il nostro lavoro, sia in velocità che in qualità.
Abbiamo partecipato a un processo di selezione con la SIDN Foundation che ci ha concesso dei fondi, e abbiamo iniziato a ricevere sempre più richieste di controllo da ogni parte del mondo, parliamo di quasi più di 10 milioni di controlli al giorno effettuati.
Si è poi unito a noi Chris Adams, che non è solo un ottimo programmatore ma anche un divulgatore entusiasta che promuove un’intensa attività di comunicazione e sensibilizzazione: il suo lavoro e la sua presenza sono stati fondamentali per promuovere The Green Web Foundation e per reclutare altri programmatori, spingendo il nostro operato verso confini sempre più ampi e aperti.
In conseguenza di questo nei passati due anni abbiamo vissuto una grande crescita, e questa è la nostra storia fino ad oggi.
Cosa ci puoi raccontare riguardo la sostenibilità digitale e il green hosting in Olanda?
Credo si debbano fare due discorsi distinti: se parliamo di green hosting le cose procedono davvero bene, direi già dal 2011 o anche qualche anno prima, e il motivo è stato che la SIDN ci ha sponsorizzati occupandosi di tutto il lato inerente la comunicazione, riuscendo in questi anni a generare interesse e consapevolezza nel terreno di dibattito comune; abbiamo avuto modo di espanderci tantissimo grazie al loro lavoro e di raggiungere tante realtà in più, come da soli non saremmo riusciti a fare.
Parlando in senso più generale, cioè di design o servizi digitali sostenibili invece, credo sia presente sul territorio una sufficiente consapevolezza circa la tematica ma che ci sia ancora ampio margine di miglioramento, manca forse un approccio omogeneo da parte di tutti i lavoratori di settore coinvolti.
Credo che ciò che ci farà vincere alla fine, l’elemento chiave di questo processo, è che i prodotti digitali sostenibili sono semplicemente migliori rispetto agli altri; sono prodotti più veloci, leggeri e performanti e questo è un bene per tutti, sia per gli addetti ai lavori che per i clienti finali, oltre e soprattutto per l’ambiente. Se ragioniamo in quest’ottica può sembrare davvero strano che progettare il digitale in ottica sostenibile non sia ormai una prassi consolidata, accettata come la strada giusta da percorrere.
Sembra difficile a volte far passare il concetto che la progettazione e lo sviluppo digitale sostenibile possa convivere benissimo con obiettivi di business e target delle aziende. L’approccio environmentally friendly sembra ancora molto lontano, complesso, legato anche all’idea di costi eccessivi.
Questa forma mentis per me è un grande svantaggio per ogni azienda perché parlando anche solo in termini di marketing un sito costruito per essere enviromentally friendly è chiaramente un valore aggiunto, spendibile in reputazione sul mercato; un problema di mancata consapevolezza che a volte capita di riscontrare anche lavorando con aziende che si stanno già muovendo per ottimizzare in ottica green molti aspetti del loro ciclo produttivo.
È chiaro che prima o poi tutte le aziende dovranno preoccuparsi della sostenibilità ambientale e affrontare la necessità di una transizione green, ma al momento la tendenza sembra essere quella di focalizzarsi solo su pochi punti. Il processo di transizione può essere vissuto e percepito come un beneficio in più, oppure semplicemente “subito” per adeguarsi alle regolamentazioni, facendo magari solo quei pochi passi necessari o seguendo in qualche modo una tendenza comune, piuttosto che realizzare una transizione interamente green, pensata con consapevolezza e attenzione.
Credo serva ancora tanto lavoro in termini di comunicazione, e questo vale non solo per il tessuto europeo ma per tutti i paesi: serve più consapevolezza.
È vero che non esiste un approccio omogeneo per quanto riguarda queste tematiche, ogni nazione differisce per punti di forza e debolezza. Per esempio in Italia sono presenti maggiori restrizioni circa l’utilizzo dell’acqua: l’acqua di fiume non può essere utilizzata per il funzionamento dei data centers. Credo che negli Stati Uniti o in altre nazioni non ci siano regolamentazioni così attente.
Quasi tutti i paesi del mondo sono disallineati sui risultati raggiunti, alcuni sono davvero molto indietro paragonati ad altri che da anni lavorano alla sostenibilità ambientale con costanza, penso ad esempio alla Scandinavia.
Forse mancano ancora molte conoscenze, l’effettiva capacità di sapersi muovere nella giusta direzione per ottenere una transizione verso il green web efficace. Credo servano più punti di riferimento ai quali potersi rivolgere per avere spiegazioni e supporto, che serva ancora diffondere e spiegare chiaramente la criticità di queste tematiche.
Ci sono tante realtà che si rivolgono a The Green Web Foundation, come credi che si svilupperà il dibattito sulla sostenibilità digitale nel prossimo futuro, quali pensi siano i passi principali da compiere per migliorare?
In un certo senso le idee che ci hanno spinto a intraprendere questo percorso e che si pongono alla base del nostro lavoro sono ancora valide e allo stesso tempo vanno riviste. Mi spiego meglio: quando abbiamo iniziato nel 2008 i siti web avevano strutture molto più semplici di quelle che esistono oggi, che molto spesso invece funzionano su più livelli e con molte integrazioni, quindi spesso quando parliamo di siti web con hosting green dobbiamo domandarci quanto effettivamente siano green.
Credo che in questa fase serva un’analisi molto più dettagliata e approfondita per ogni realtà digitale, per capirne il funzionamento e se effettivamente possano ritenersi interamente green. Possiamo farlo spiegando bene come funziona il green hosting, in modo diretto, semplice e approcciabile per chiunque, per facilitare la scelta di chi si avvicina per la prima volta agli hosting green: spiegare alle persone che esistono più modi di essere sostenibili, dall’hardware al software.
Penso che la chiave sia continuare a semplificare le informazioni per diffonderle e sono convinto che molta spinta possa arrivare anche in modo inaspettato, da fattori anche meramente pratici: per esempio se pensiamo alla grande diffusione di siti pensati per la navigazione da mobile la necessità di approcciarsi al consumo di energia verde il prima possibile è fondamentale a causa della richiesta di siti web sempre più leggeri e rapidi, capaci di funzionare bene da mobile.
In Italia le amministrazioni pubbliche sembrano propense verso la scelta di utilizzare data centers non europei per l’hosting dei dati. Si presenta un problema dal punto di vista dalla privacy tenendo in considerazione anche le policy esistenti del GDPR, oltre ovviamente a tutte le complicazioni legate anche alla sostenibilità. Posso chiederti cosa ne pensi?
Capisco il problema, ma posso dire che per esempio negli Stati Uniti sono stati posti dei parametri e obbiettivi specifici su come gestire l’hosting dei dati europei nel prossimo futuro. Dall’altro lato consideriamo la privacy nel mondo di internet come sostanzialmente non esistente, ma capisco ciò di cui mi stai parlando, le privacy policy possono variare tantissimo da stato a stato.
In particolare serve riferirsi a chi si occupa di delineare le linee di policy per questo tipo di realtà: è necessario analizzare attentamente i problemi che esistono e trovare soluzioni, soprattutto bisogna puntare a rendere omogenee le regolamentazioni dedicate al funzionamento dei sistemi di hosting, spingendo chiaramente affinché siano anche Green e European Based.
Cosa ci puoi dire degli interventi governativi olandesi in materia di sostenibilità digitale?
Non trovo la situazione politica in Olanda particolarmente favorevole ma credo tantissimo nelle persone, so che possono fare davvero la differenza.
Il mondo fortunatamente sta cambiando, c’è già movimento per quanto riguarda le regolamentazioni per l’uso dei data centers; il costo dell’elettricità in Olanda comparato ai costi totali sostenuti per la vita quotidiana è davvero molto alto – parliamo quasi del 50% del totale – quindi questo è già un fortissimo incentivo a un maggior controllo circa l’uso dell’elettricità destinata ai data centers.
Il cambiamento può arrivare dalle persone, dalle coscienze o da necessità pratiche, finendo poi per coinvolgere le parti politiche.