[Leggi la prima parte dell’intervista qui]
Di recente noi di Piano D siamo entrati in contatto con te grazie a The Green Web Foundation, di cui siamo Certified Partner. Come sei venuto a conoscenza di questa fondazione?
Parlando di The Green Web Foundation, Chris Adams era proprio uno di fondatori del Cleanweb a Londra di cui vi parlavo poco fa. Ho contattato Chris Adams quando stavamo valutando la sostenibilità dell’infrastruttura digitale del Comune di Milano nell’ambito del Piano Aria Clima e cercavamo lo strumento giusto per effettuare quell’analisi.
Ho contattato la Green Web Foundation e l’incontro con Chris Adams che ne è seguito si può considerare un nuovo tassello per l’impegno verso l’ambiente: parliamo di un progetto di attivismo e ricerca estremamente importante, quello di avere un’idea chiara di chi siano effettivamente gli attori del Green Hosting in Italia, con l’obiettivo finale di spingere le amministrazioni, le aziende e le tante altre realtà esistenti nel nostro paese ad affidarsi al Green Hosting, compiendo questo primo passo verso la sostenibilità digitale.
Crediamo che la tua esperienza sul fronte del design delle interfacce digitali possa dare un contributo importante al “Sustainable Web Design”, in collaborazione con realtà come Piano D.
Pensiamo che al principio di design “human-centered” si debba unire il principio “earth-centered”, anche per i prodotti digitali. Mettere come punto di partenza l’uomo, ma anche la sostenibilità del nostro pianeta.
Che cosa ne pensi?
Ritengo che in questa fase delicata, in questo momento storico, sia fondamentale porre l’accento sulla relazione tra l’attività umana e l’ambiente. E questo cambiamento è veramente molto importante.
Abbiamo fatto tanto lavoro sul design delle interfacce per semplificarle, per togliere qualunque frizione, abbiamo lavorato tantissimo incentrati sull’uomo per rendere l’esperienza di navigazione quanto più possibile efficiente e piacevole allo stesso tempo. Oggi dobbiamo cambiare il nostro focus senza perdere di vista i risultati raggiunti che hanno permesso un accesso alla tecnologia assolutamente straordinario: dobbiamo considerare come punto critico la relazione tra l’attività umana e l’ambiente, non guardare più alla progettazione solo dal punto di vista dell’utente ma considerarla nel contesto più ampio della relazione tra l’utente e l’ambiente.
L’eco-design richiede di progettare considerando attentamente tutto il ciclo di vita del prodotto digitale: progettare per tutto il ciclo vita di un prodotto significa mantenere un approccio sistemico, guardando all’insieme e non solo al singolo step.
Un esempio adatto per spiegare questo concetto possono essere gli smartphones di Fairphone, prodotti che sin dall’inizio sono progettati con consapevolezza in ogni passaggio della loro lavorazione, a partire da come vengono estratti i materiali da impiegare nella produzione fino al design vero e proprio; un design modulare che permette l’aggiornamento di singole funzioni, come l’obbiettivo per esempio, e una facilità di riparabilità ottimale, fino ad arrivare al fine di vita con il ritiro del dispositivo in modo che la maggior parte dei componenti e dei materiali possa essere reinserito nella catena produttiva, oppure poter sostenere un suo ricondizionamento.
Per altre realtà “offline” questo principio è già realtà, pensiamo ad esempio ai packaging sostenibili o al mondo del fashion sostenibile…
Insegnando allo IED eco-design posso dirti che con i miei studenti abbiamo lavorato e continuiamo a lavorare a tanti case studies, e siamo particolarmente concentrati sulle start up. Quello di cui ci si rende conto è che ci sono delle realtà che “nascono sostenibili”: per loro la sostenibilità non è tanto un obiettivo che va ad aggiungersi ad altri, quanto l’obiettivo fondamentale che spinge alla costante ricerca di soluzioni sempre più efficaci in favore dell’ambiente, naturale e sociale.
Esistono già alcune realtà che mettono al centro del loro lavoro il rapporto tra uomo e ambiente. Esempi virtuosi che progettano partendo dall’analisi dei bisogni ambientali e non li mettono mai da parte, seguendo ogni fase della produzione in modo consapevole ed etico.
Possiamo parlare dell’industria del fashion sostenibile, oppure di progetti relativi al packaging; in sostanza parliamo di traslare questo nuovo approccio che si sta piano piano radicando nel digitale, anche a tutti gli altri settori produttivi.
Sono molto interessanti aziende come ad esempio Organic Basics – realtà danese – che lavora in ottica della sostenibilità a partire dal primo step della sua catena di produzione del prodotto (in questo caso underwear): una fornitura di cotone organico, la lavorazione in aziende che rispettano l’ambiente e il lavoratore, un’attenzione forte al packaging e, in tempi più recenti, anche al digitale con un ottimo lavoro fatto sul loro e-commerce con una soluzione a basso impatto.
Trovo interessantissimo fare confronti fra start up e realtà che sono “native sostenibili” con altre aziende che invece hanno avuto un altro tipo di percorso, ma che si stanno in qualche modo convertendo, per cercare di capire come approcciano i problemi che si possono presentare loro, e soprattutto come li risolvono.
Per il futuro vorrei essere ottimista, esistono ormai grandi spinte verso la transizione al sostenibile, anche semplicemente di tipo economico: sto parlando dei finanziamenti ESG (Environmental, Social, Governance), che possono spingere a intraprendere un processo di questo tipo anche quelle aziende che lavorano in quei settori magari più restii ad affrontare un cambiamento. Parliamo di finanziamenti che sono mirati a rendere l’azienda più sostenibili e a realizzare progetti a forte impatto ambientale.
Dalla tua esperienza, come pensi che evolverà il tema della sostenibilità digitale nei prossimi anni a venire?
Siamo abituati a considerare il digitale come qualche cosa di virtuale, di immateriale, e che quindi non ha bisogno di grandi risorse naturali, di una infrastruttura tecnica estremamente complessa e di molta energia. E’ relativamente da poco che si è cominciato a guardare al substrato materiale del digitale: al problema del sempre crescente volume di rifiuti elettrici ed elettronici ed al loro impatto nocivo sull’ambiente; alle condizioni di lavoro di chi estrae le terre rare ed i metalli preziosi usati nell’elettronica e di chi cerca di recuperare questi materiali dai rifiuti; al consumo energetico dell’infrastruttura e dei dispositivi digitali ed alle emissioni che ne derivano. E con la pandemia, è emerso con forza il problema dell’equità nell’accesso alla rete ed ai dispositivi digitali per poter seguire le lezioni, lavorare a distanza o prenotare la vaccinazione. Nell’immaginario, il digitale diventa sempre meno virtuale, e sempre più materiale.
Mi aspetto quindi che l’attenzione verso la sostenibilità del digitale diventi sempre più importante. Le associazioni ambientaliste stanno dedicando più risorse alla valutazione dell’impatto ambientale delle grandi aziende digitali e i media ne parlano con sempre maggiore frequenza. Disponiamo ora di strumenti molto efficaci per sapere rapidamente se una marca di cui siamo clienti o un potenziale fornitore alimenta la sua infrastruttura digitale con energie rinnovabili o quante emissioni produce l’uso di un servizio digitale.
Mi aspetto anche che, dopo le materie prime, la produzione e i trasporti, la misura delle emissioni e dell’impatto ambientale del digitale diventi uno degli elementi critici nella valutazione dell’impronta carbonio e ambientale complessiva delle aziende.
Mi auguro per il futuro è che si arrivi alla definizione di protocolli efficaci, affidabili e trasparenti per conoscere l’impegno effettivo di un’azienda per la sostenibilità, anche considerando che una nuova generazione di consumatori si è affacciata al mercato, estremamente sensibile ed attiva sui temi della sostenibilità, che al momento dell’acquisto sceglie in modo sempre più consapevole ed etico. Mi aspetto quindi anche una grossa spinta in arrivo dal mercato.
Per non dimenticare mai il rapporto che ci lega al nostro pianeta e il rispetto che gli dobbiamo, senza rinunciare a ciò che negli anni abbiamo realizzato grazie alla tecnologia, utilizzandola ora come strumento per la transizione ecologica, al pieno servizio dell’ambiente.